Protesi d’anca: quando il chirurgo raccomanda l’intervento?

La protesi d’anca viene consigliata in diversi casi e risulta essere la soluzione definitiva quando la cartilagine tra l’acetabolo e il femore si trova in uno stato degenerativo avanzato: ma in quali altri casi il chirurgo consiglia l’intervento?

Ogni caso è a sé stante, va valutato nella sua unicità e complessità, ma vi sono degli indicatori che possono far propendere lo specialista nella scelta dell’impianto.

Vediamo, dunque, quando si prende in considerazione la protesi d’anca e quali sono gli step per comprendere pienamente la condizione e le necessità del paziente.

Cos’è la protesi d’anca?

protesi anca al titanio

La protesi d’anca è uno strumento a disposizione del chirurgo per curare diverse patologie che interessano l’articolazione coxo-femorale.

La protesi sostituisce la testa del femore e viene inserita dentro l’osso (prendendo il nome di press fit) o viene cementata ad esso: nell’acetabolo viene inserito una coppa (chiamato cotile), che permetterà di rispristinare il movimento naturale dell’articolazione.

Se ne distinguono due tipi fondamentali:

  • protesi totale (sostituzione della testa del femore con uno stelo e inserimento del cotile);
  • protesi parziale (sostituzione esclusiva della testa del femore).

La protesi parziale si rende necessaria quando il paziente presenta mobilità ridotta e ha esigenze funzionali minori (grande anziano).

Quali patologie portano all’impianto di protesi d’anca?

Le patologie che possono portare ad un impianto di protesi d’anca sono:

  • coxartrosi;
  • artrite giovanile;
  • artrite reumatoide;
  • fratture della testa del femore o dell’anca;
  • displasia congenita dell’anca;
  • conflitto femoro-acetabolare;
  • necrosi della testa del femore;
  • malattia di Paget;
  • traumi pregressi (come una lussazione dell’anca).

Nella maggior parte dei casi, si ricorre all’intervento a causa della coxartrosi, una patologia che si presenta intorno ai 50 anni, caratterizzata da un’usura crescente della cartilagine coxo-femorale.

Generalmente si presenta con la formazione di osteofiti, sclerosi dei tetti acetabolari (uno dei primi segnali della patologia) e cisti ossee.

Si ricorre all’impianto di protesi anca, comunque, quando il dolore impedisce un corretto svolgimento anche delle attività più semplici per il paziente e la mobilità è sensibilmente ridotta: nelle prime fasi di degenerazione cartilaginea, infatti, il trattamento d’elezione è di tipo conservativo, in quanto è ancora possibile mantenere una discreta autonomia nelle proprie attività giornaliere.

Come avviene l’intervento?

intervento protesi anca

L’intervento per impiantare una protesi d’anca prevede 4 fasi:

  • ricovero;
  • anestesia;
  • planning pre-operatorio e intervento;
  • breve recupero post-operatorio in ospedale.

Il planning pre-operatorio si rende indispensabile per comprendere le caratteristiche tecniche della protesi, in quanto l’impianto compenserà la cartilagine usurata che rende l’arto più corto: comprendere le misure (e la tipologia di protesi) adeguate permetterà al paziente di abituarsi alla nuova condizione senza problemi e nel minor tempo possibile.

L’intervento in sé, invece, consta di 5 fasi (4 nei casi di protesi parziale):

  • osteotomia della testa del femore;
  • fresatura della fossa acetabolare;
  • inserimento del cotile (nei casi protesi totale);
  • posizionamento dello stelo nel femore;
  • calibratura della testina sullo stelo.

Per avere un quadro esaustivo della situazione del paziente e del possibile esito dell’operazione, è indispensabile valutare a monte tutte le variabili con una visita specialistica, prima di prendere la decisione definitiva.

I 3 pilastri della visita specialistica

Ogni operazione è frutto di un accurato e minuzioso studio, senza il quale non è possibile procedere.

Per poter considerare ogni aspetto relativo all’esito dell’operazione, sarà fondamentale:

  • la storia del paziente;
  • l’esame clinico;
  • la radiografia (ed eventualmente la risonanza magnetica).

La storia del paziente

La prima visita non va presa alla leggera: ogni informazione sulla sintomatologia e sul passato del paziente contribuisce enormemente alla corretta diagnosi del disturbo.

È chiaro che la diagnosi non può essere fatta esclusivamente su queste basi (che vanno approfondite con i test di imaging), ma anche il più piccolo particolare può suggerire allo specialista la strada giusta da intraprendere già in questa sede.

L’esame clinico

Il primo segnale che può suggerire una coxartrosi è la zoppia, quindi una valutazione della deambulazione autonoma del paziente è fondamentale.

Altri segnali utili a comprendere la condizione sono:

  • il dolore;
  • la gamba visibilmente più corta;
  • la debolezza muscolare avvertita dal paziente;
  • problemi alla gamba.

Muovendo l’arto del paziente sarà possibile valutare i processi di:

  • intrarotazione;
  • flessione;
  • estensione;
  • abduzione,

sensibilmente minori in un paziente con coxartrosi.

Il dolore localizzato nella regione trocanterica può suggerire una borsite e non tanto una coxartrosi, che va trattata in maniera differente: questo dimostra l’importanza di questa fase, che guiderà il chirurgo nelle scelte più adeguate per il paziente.

Radiografia e risonanza magnetica

radiografia anca

Considerando le molteplici patologie che possono interessare l’anca, l’analisi differenziale è estremamente importante, così da escludere disturbi simili che possono avere un trattamento completamente diverso.

La radiografia è indispensabile per comprendere l’origine del dolore e la risonanza magnetica sarà utile per comprendere l’usura cartilaginea nel dettaglio.

Nei casi in cui non dovessero essere sufficienti, si può ricorre:

  • alla TAC, per la valutazione di eventuali deficit ossei utili in fase di planning pre-operatorio;
  • alla scintigrafia ossea, per eventuali alterazioni focali della pelvi e del femore.

Per chiudere questo articolo mi sembra doveroso sottolineare l’importanza della riabilitazione post-operatoria, utile per recuperare completamente la mobilità perduta: la fase finale è tutta nelle mani del paziente, che con diligenza e costanza dovrà evitare la sedentarietà e mantenersi attivo.

Vi consiglio, a proposito, di leggere questo approfondimento sulle fasi riabilitative dopo l’intervento e sui movimenti da evitare assolutamente, così da avere un quadro d’insieme più chiaro su tutti i procedimenti per l’impianto di una protesi d’anca.

dottor Federico Valli Chirurgo Ortopedico

dr. Federico Valli


Medico Chirurgo
Specializzato in Anca e Ginocchio

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